“E’ il senso religioso che ci aiuta a mantenere la consapevolezza che lui o lei non sono separati dalla natura. ” Amma
Domanda: Quale parte gioca la religione nel rapporto tra uomo e Natura?
Amma: “E’ la spiritualità che aiuta l’uomo a mantenere la consapevolezza che lui o lei non sono separati dalla Natura. Senza il senso religioso l’umanità perde questa consapevolezza. Esso ci insegna ad amare la Natura. In verità, il progresso e il benessere dell’umanità dipendono solamente dal bene che l’uomo fa alla Natura. La religione aiuta a mantenere un rapporto armonioso tra esseri umani, tra individuo e società, tra uomo e Natura.
Il rapporto tra l’uomo e la Natura è come il rapporto tra Pindananda (il microcosmo) e Brahmananda (il macrocosmo). I nostri grandi antenati lo compresero. Questa è la ragione per la quale essi diedero tanta importanza all’adorazione della Natura nelle loro pratiche religiose. L’idea alla base di tutte le “acharam” (pratiche religiose) era di associare intimamente gli esseri umani con la Natura. Stabilendo un rapporto amorevole tra l’uomo e la Natura, essi assicuravano sia il suo equilibrio che il progresso della razza umana.
Osserviamo un albero. Esso fa ombra anche alla persona che lo abbatte. Dona i suoi frutti dolci e deliziosi a chi gli fa del male. Ma il nostro atteggiamento è completamente diverso. Quando piantiamo un albero, o quando alleviamo un animale, siamo interessati soltanto al profitto che ne ricaveremo. Se l’animale cessa di darci un profitto lo eliminiamo senza indugio. Appena la mucca smette di produrre latte la vendiamo al macellaio per ricavarne denaro. Se un albero cessa di produrre frutti lo tagliamo e ne facciamo mobili o ne ricaviamo qualcos’altro. L’egoismo regna supremo, l’amore disinteressato non si trova da nessuna parte. Ma i nostri antenati non erano così, essi sapevano che alberi, piante ed animali sono indispensabili al benessere dell’umanità. Essi avevano previsto che l’uomo con il suo egoismo avrebbe dimenticato la Natura e avrebbe cessato di avere rispetto per essa. Sapevano anche che le generazioni future avrebbero sofferto a causa del suo estraniarsi dalla Natura. Perciò collegarono ogni rituale alla Natura. Così, attraverso i principi religiosi, riuscirono a sviluppare un vincolo emotivo tra l’uomo e la Natura. Gli antichi amavano e veneravano alberi e piante, come banyan, bilva e tulasi, non perché gli alberi producevano frutti ed erano fonte di profitto, ma perché sapevano di essere in verità una cosa sola con la Natura.
La religione insegna all’uomo ad amare l’intera Creazione. Alcuni ridicolizzano la religione dicendo che è mera credenza cieca; eppure sembra che le azioni di queste persone rechino maggiori danni alla Natura di quelle di un credente. Sono le persone dalla mentalità spirituale, non i cosiddetti intellettuali, che proteggono, preservano e amano la Natura. Ci sono persone che, facendo riferimento a moderne teorie scientifiche, cercano costantemente di provare che qualunque cosa la religione insegni è sbagliata. La verità è che il rispetto e la devozione che gli esseri umani sviluppano attraverso la loro fede sono sempre benefici, sia all’umanità che alla Natura. La spiritualità ci insegna ad adorare Dio nella Natura. Attraverso le storie della vita di Sri Krishna, la pianta del tulasi e la mucca sono diventati molto cari al popolo indiano, che li protegge e se ne occupa amorevolmente. Nei tempi passati, in India, c’erano un laghetto e un boschetto adiacenti ad ogni casa. Ogni casa aveva una pianta di tulasi nel proprio giardino. Le foglie di tulasi hanno grandi proprietà medicinali. Le foglie non deperiscono anche se colte e conservate per parecchi giorni; le loro proprietà medicinali permangono. A quei tempi, parte della routine giornaliera consisteva nell’innaffiare la pianta di tulasi ogni mattina, inchinandosi con riverenza e devozione di fronte ad essa, venerandola come un’incarnazione della Divinità. Questo era il modo indiano tradizionale di mostrare rispetto e venerare anche le altre piante, come il banyan, la bilva e il fico. Il valore medicinale delle foglie di tulasi, conosciuto fin dagli antichi rishi molti secoli fa, ora è stato dimostrato attraverso moderni esperimenti scientifici. Ma ci si domanda se gli scienziati che hanno scoperto il valore medicinale del tulasi e delle altre piante sacre, dimostrino lo stesso amore e rispetto per la Natura che avevano gli antichi, ispirati dalla loro fede religiosa. Non è infatti la fede religiosa che aiuta a proteggere e rispettare la Natura, piuttosto che la conoscenza raggiunta attraverso la scienza moderna?
Se abbiamo dieci semi, dovremo consumarne nove ma lasciarne almeno uno da piantare. Niente dovrebbe essere distrutto completamente. Così se riceviamo cento dollari per la vendita di un raccolto, dovremmo darne almeno dieci in carità.
Le scritture indiane insegnano che una persona che vive nel mondo dovrebbe compiere “pancha yajna”, o cinque sacrifici giornalieri. Il primo di essi è il “deva yajna”, o adorazione di Dio, il Potere Supremo, che va fatto con devozione e al meglio delle proprie capacità. Poi viene il “rishi yajnia”, o adorazione dei saggi. Gli antichi saggi che avevano realizzato Dio non lasciarono che le loro esperienze uniche svanissero nell’oblio. Per compassione verso tutta l’umanità, le trasmisero sotto forma di Scritture ed altri testi sacri. Questo studio è costituito da uno studio sincero e dalla pratica degli insegnamenti delle Scritture. Il terzo è il “pitru yajna”: consiste nel mostrare rispetto e rendere servizio ai propri genitori e agli anziani. Include anche il coltivare pensieri riverenti e di buon auspicio per il bene dei propri antenati defunti. Il quarto è il “nara yajna”, o servizio all’umanità. Esso include tutte le forme di servizio altruistico, come nutrire i poveri e servire malati ed anziani. L’ultimo sacrificio è “bhuta yajna”: servire tutti gli esseri viventi in quanto incarnazioni dell’Essere Universale. Viene eseguito prendendosi cura del regno animale e delle piante. Nei tempi antichi i membri della famiglia non mangiavano mai prima di aver dato da mangiare agli uccelli, agli animali domestici e aver innaffiato le piante e gli alberi. A quei tempi adorare la Natura e i fenomeni naturali era parte integrante della vita umana. La gente era sempre desiderosa di ringraziare la Natura per i suoi generosi doni. Il “bhuta yajna” crea la consapevolezza dell’unità di tutta la vita. Attraverso questi rituali e sacrifici, gli esseri umani imparano a vivere in armonia con la società e la Natura.
Più della conoscenza della scienza moderna, è la comprensione profonda della spiritualità, con la verità dell’unità di tutto il Creato, che insegna agli esseri umani ad amare la Natura e a sviluppare un senso di riverenza e devozione per ogni cosa. L’amore che insegna la religione non è il tipo di amore che può comprendere un intelletto grossolano, è quello del cuore. Può essere percepito da una persona dotata di un intelletto sottile nato dalla fede.
Se in un paese c’è un poliziotto, ci saranno meno furti perché la gente lo teme. Allo stesso modo, la riverenza e la devozionea Dio aiutano a mantenere il “dharma”, o buona condotta, nella società. Assorbendo veramente i princìpi della religione, ed osservandone i riti, sin può evitare di commettere errori.
Coloro che dichiarano che la religione è solo una collezione di credenze cieche non dedicheranno nemmeno un momento per cercare di comprenderei princìpi scientifici dietro le pratiche spirituali. La scienza moderna può indurre la pioggia spruzzando ioduro d’argento nelle nubi. Tuttavia, l’acqua di questa pioggia causata artificialmente può non essere completamente pura. D’altro canto, le Scritture prescrivono certi sacrifici e rituali che inducono la pioggia. I saggi sanno che la purezza dell’acqua ricavata in questo modo è molto superiore a quella ottenuta attraverso metodi innaturali, come l’uso dello ioduro d’argento.
Allo stesso modo, un cambiamento veramente benefico sia per la Natura che per gli esseri umani può essere effettuato offrendo gli ingredienti indicati nel fuoco sacrificale. Tutti questi rituali e sacrifici aiutano a ristabilire l’armonia perduta e l’equilibrio nella Natura. Come le erbe e le piante ayurvediche curano le malattie fisiche, il fumo che emana il fuoco sacrificale, nel quale sono offerti ingredienti di valore medicinale, purifica l’atmosfera. Bruciando incenso, accendendo le lampade ad olio, offrendo cibo puro in un fuoco sacrificale, o a Dio, si contribuisce a pulire l’atmosfera.
Gli effetti secondari di questi rituali non creeranno tanto inquinamento come il cloro ed i disinfettanti che sono usati per purificare l’acqua e distruggere i germi. Il fumo del fuoco sacrificale aiuta anche a pulire il sistema respiratorio, rimuovendo il muco e il catarro che bloccano il passaggio dell’aria.
La scienza moderna dice che è dannoso guardare direttamente il sole durante un’eclisse. Lo stesso avvertimento venne dato dagli antichi rischi tanti secoli fa. Usando un metodo primitivo ma efficace, essi guardavano l’immagine del sole solo riflessa nell’acqua nella quale era stato dissolto dello sterco di mucca.
Proteggendo e preservando animali selvatici e domestici, alberi e piante, noi proteggiamo e preserviamo la Natura. Gli antichi adoravano la mucca e la terra, includendoli tra le cinque madri (pancha mata). Le cinque madri sono: “dehamata” – la madre biologica, “desamata” – la madre patria, “bhumata” – Madre Terra, vedamata – i Veda, e “gomata” – la mucca. Per i nostri antenati, la mucca non era solo una creatura a quattro zampe, ma un animal sacroche veniva adorato come una forma della Madre Divina (la Devi).
Nessuna religione può esistere dissociata dalla Natura: è il legame che unisce l’umanità alla Natura. La spiritualità rimuove l’ego nell’uomo, rendendolo capace di conoscere e fare l’esperienza della propria unità con la Natura.